“Quoicoubeh” utilizzato dai giovani per sfidare gli adulti

“Quoicoubeh” utilizzato dai giovani per sfidare gli adulti

Qualche mese fa, spinta dall’influencer LaVache (@camskolavache) su TikTok, la parola “quoicoubeh” ha invaso la piattaforma del social network e si è diffusa nei cortili di scuole e università. Il principio di questo gioco di parole non è complicato: ti viene detto volontariamente qualcosa di incomprensibile, come “Hai le convulsioni”, tu rispondi “Cosa?”, Noi ti rispondiamo “Quoicoubeh”. Questo è tutto. Ma oltre ad essere un neologismo privo di senso, “quoicoubeh” mette in discussione il modo in cui i giovani si esprimono.

Questo tipo di gioco di parole è sempre esistito, ricorda Auphélie Ferreira, dottore in linguistica, insegnante e ricercatrice in linguistica francese presso l’Università Sorbonne-Nouvelle e membro associato del Lattice Lab.

Da dove viene la parola “quoicoubeh” ed è davvero così priva di significato?

“Quaicoubeh” è un neologismo formato da prestiti dal baoulé, una lingua ivoriana parlata principalmente nel centro del paese. Ad ogni modo, questa è l’ipotesi più probabile. In Costa d’Avorio, è un gioco di parole per scherzare tra amici, familiari o colleghi: quando qualcuno dice “cosa?”, la persona davanti risponde “quoicou” e questo dà una parola che si riferisce a un nome. Tiktocor all’origine di questa inflessione mediatica ha semplicemente aggiunto l’interiezione “beh”, che dà “quoicoubeh”, ma la battuta rimane la stessa.

In francese troviamo, qualche tempo fa, esattamente lo stesso principio con il relativo pronome interrogativo “cosa?” a cui si aggiunge però il suono “feur”, la battuta qui riecheggia una professione e, quindi, ci è più comprensibile. Se “quoicoubeh” di per sé non significa molto e suona vuoto, allora è un’espressione che ha senso nel contesto. Questo tipo di gioco di parole non è nuovo ed esiste da secoli, tranne per il fatto che i social network ora ne facilitano la diffusione. Se serve per sfidare un po’ gli adulti, non è sintomo di uno spartiacque generazionale. Ciò dimostra che ogni generazione sviluppa il proprio lessico.

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Possiamo dire che esiste un “linguaggio della gioventù”?

Il termine “lingua” non è appropriato. Non esistono infatti elementi linguistici che permettano di definire il “linguaggio della gioventù” come tale. Né è appropriato il termine “linguaggio”, in quanto si riferisce alla facoltà di parlare, come la facoltà di camminare. L’espressione “parlers jeunes” potrebbe essere più appropriata, ma solo se usata al plurale, perché non c’è un solo modo di parlare giovane. A seconda che i giovani provengano da Marsiglia, da Lille o dai sobborghi di Parigi, se provengano da un ambiente benestante o popolare, ci saranno differenze nel loro modo di esprimersi e nel loro vocabolario. La combinazione è importante anche per mostrare la loro adattabilità. Preferisco l’espressione “pratiche linguistiche”, che esprime l’idea che usiamo il linguaggio nella società in modi diversi a seconda del contesto.

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