Sullo schermo di un computer accoppiato a una fotocamera ultraveloce, a sua volta attaccata a una lente da microscopio, coesistono più o meno una folla di sfere fluorescenti e granulari. “Possiamo confrontare l’attività fotosintetica di tre tipi di goccioline, a seconda dell’intensità della fluorescenza”.Spiega Jean-Christophe Barrett. Descrive il sistema microfluidico che consente di creare queste goccioline attraverso le quali vengono prodotte molecole organiche, come nelle piante, sotto l’influenza della luce.
Siamo al Paul Pascal Research Center, nel campus di Pessac, alla periferia di Bordeaux. Uno degli ingredienti che vengono iniettati nei circuiti microfluidici non è altro che spinaci finemente miscelati, che forniscono i tilacoidi, componenti dei cloroplasti e quartier generale della fotosintesi nelle cellule vegetali. Ma il resto della ricetta è sintetico e si verifica alla fine di canali microscopici che convergono per produrre miscele sottilmente misurate, con conseguente formazione di goccioline senza membrana, chiamate coacervati, repliche di componenti specifici delle cellule viventi.
Jean-Christophe Barry, professore alla Purdue University, è a capo di un team specializzato nello studio delle cellule artificiali o sintetiche, una disciplina abbondante e non strutturata come la vita, e che mira a emulare. Per spiegare questo approccio cita volentieri Alexander Oparin (1894-1980). Quasi un secolo fa, nel 1924, questo biochimico russo formulò un’ipotesi sull’origine della vita: sarebbe apparsa come goccioline, “protocellule” che concentrano elementi chimici primordiali capaci di interagire tra loro. Altri generano interazioni complesse. Anticipa le cellule viventi.
Ricorda che questa è l’unità costitutiva di base di tutti gli organismi che vivono sulla Terra: il corpo umano ha circa centomila miliardi, a cui si aggiunge un microbiota, dieci volte la sua popolazione di microbi! Un involucro alquanto flessibile circonda la cellula, isolandola dal suo ambiente e consentendole di interagire con essa. Riassume il patrimonio genetico tradotto in proteine, assicurandone il funzionamento e la riproduzione, con un margine di errore fondamentale per l’evoluzione attraverso le generazioni. Questa borsa, che ha un diametro medio di poche decine di micrometri, è anche piena di una miriade di organelli che ne assicurano le funzioni metaboliche, la struttura, la crescita, la motilità, ecc.
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