L’Italia ha deciso di nazionalizzare l’acciaieria più grande e inquinante d’Europa

Ancora una volta, niente è andato come previsto. Pochi giorni dopo aver annunciato il ritorno dello Stato italiano nella capitale dell’ex Ilva (diventata ArcelorMittal Italia nel 2018), è stato dopo il primo consiglio di amministrazione a concentrarsi sulla linea battesimale della nuova organizzazione, denominata Acciaierie d’Italia anni di scandali, false stringhe e dubbi legati alle sorti del sito di Taranto (Puglia), dove si trovano le più grandi acciaierie d’Europa. Sfortunatamente, l’incontro è stato rinviato a una data successiva: a causa della situazione sanitaria, le aziende italiane hanno tempo fino al 30 giugno per procedere con la chiusura dei conti 2020.

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Ufficialmente, l’accordo tra le due parti non sembra essere in discussione: con un contributo di 400 milioni di euro, Invitalia (controllata direttamente dal Ministero dell’Economia italiano) deterrà il 38% delle quote della nuova struttura e il 50% di i diritti di voto. Il presidente di Acciaierie d’Italia, scelto dal suo presidente, Mario Draghi, sarà una figura simbolo per i datori di lavoro italiani: Franco Bernabe, già amministratore delegato del colosso energetico Eni, negli anni ’90, poi Telecom Italia dal 1999 al 2013. Ma devono essere ancora 10.700 Un impiegato del sito di Taranto attende l’entrata in vigore della nuova struttura del capitale, che avrebbe dovuto dare una certa visibilità in una situazione particolarmente incerta.

Il sito è un perfetto simbolo della difficoltà di conciliare sviluppo industriale e ambiente.

Da un lato, c’è effettivamente un’emergenza economica. Imaginée au début des années 1960 comme un des instruments par lesquels l’Etat italien allait permettre le décollage économique du sud de l’Italie, la gigantesca usine de Tarente a, par le passé, produit jusqu’à 10 million de tones d’acier annualmente. Attualmente produce meno di 4 milioni, ben al di sotto della soglia di redditività del sito (7 milioni di tonnellate). Per questa città di 200.000 e oltre, per tutto il sud Italia, le conseguenze economiche di un completo arresto della produzione sarebbero devastanti.

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Una densa nuvola grigio-rosata di polvere tossica

Ma dall’altra c’è un’altra emergenza sanitaria, che fa di Taranto il simbolo ideale della difficoltà di conciliare sviluppo industriale con ambiente. Progettato dal sito web di Ilva ‘Miracolo economico’ Italiani, in un’epoca in cui l’ambiente era una preoccupazione molto secondaria, e sono stati costruiti in un modo che oggi è considerato del tutto anomalo: per ragioni logistiche, gli altiforni, la parte più inquinante del sito, sono stati posti vicino al mare e al stazione dei treni, a meno di 200 metri in linea d’aria Dal centro storico (oggi vuoto al 70%) alla città.

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