“La Germania può dire no alla zona euro, che potrebbe esplodere!”

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E se la Germania dicesse Nin?! Dopo aver salvato più volte la zona euro negli ultimi 15 anni, la Germania sembra ora meno disposta a continuare su questa strada. Infatti, il consigliere in arrivo Olaf Schultz e il suo team hanno già iniziato ad annunciare i colori, sottolineando che le sbandate finanziarie e monetarie dovrebbero finire il prima possibile. Dopo le recenti dimissioni del presidente della Bundesbank, in segno di protesta contro la perdurante politica iper-accomodante della BCE, queste dichiarazioni confermano che la Germania è pienamente pronta a battere il pugno sul tavolo.

E questo, in particolare, per quanto riguarda la Francia, che ancora rifiuta di porre fine alla cattiva gestione della spesa pubblica e del debito, pur facendo pressione sulla Banca Centrale Europea perché mantenga la sua bacheca almeno fino all’aprile 2022. Certamente, come il filosofo Friedrich Nietzsche diceva: “Tutto ciò che non ci uccide, ci rende più forti”. Tuttavia, questo principio non può essere fermato in anticipo, e questo principio dimentica presto un’altra formula generata dalla saggezza popolare: “Tirando troppa corda, finisce per cadere a pezzi”. In altre parole, anche se le difficoltà possono rafforzarci, nel tempo possono anche finire per distruggerci, soprattutto se si accumulano troppo in fretta e ancor di più se mal gestite.

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Esattamente all’incrocio di questi due principi si trova oggi l’eurozona. Infatti, sin dalla sua nascita quasi 23 anni fa, ha dovuto sopportare un gran numero di shock: la recessione del 2000-2003, il crollo dell’euro/dollaro sotto 0,85 nel 2001, la crisi finanziaria del 2008-2009 e il Crisi greca del 2010-2012 Elezioni presidenziali del gennaio 2015 in Grecia per Alexis Tsipras, che in particolare ha promesso di far saltare in aria l’eurozona. Recentemente, l’emergere di un governo eurofobico alla guida dell’Italia, ancora una volta ha quasi suonato la campana a morto per l’Unione Monetaria Europea (Eurozona). Tuttavia, in tutti questi casi, spesso dopo numerosi e su vasta scala procrastinazione politica, il peggio non è accaduto e l’eurozona non è scomparsa.

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Con la crisi del Covid-19, la storica depressione che ha provocato e il nuovo boom del debito pubblico che ne è derivato, anche il salvataggio è stato in atto, soprattutto perché la Banca Centrale Europea ha deciso di proseguire il suo cammino, attivando sempre più la sua macchina da stampa “e quindi risparmiando più “morfina” per i mercati. Ma dimentica che mentre la morfina lenisce il dolore, non cura la malattia, che in questo caso è l’eccesso di debito pubblico. Di fronte a questa nuova cattiva gestione, la Costituzionale Anche il tribunale di Karlsruhe ha lanciato l’allarme nella primavera del 2020. Tuttavia, sotto la pressione della Merkel, il peggio è stato ancora una volta evitato.

Solo allora, tutte le cose belle finiscono. Quindi, il prossimo governo tedesco potrebbe aver deciso di “fermare le macchine”. Così, gli avvertimenti della corte di Karlsruhe rischiano di tornare in primo piano. Questo, in effetti, farà rivivere la crisi del debito pubblico della zona euro. Perché, non sogniamoci, dietro l’avvertimento tedesco c’è la messa in discussione dell’Unione monetaria europea così com’è finora.

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Di fronte a un pericolo così estremo, alcuni economisti e politici non esitano a intervenire sottolineando che questa possibilità è priva di significato. La fine dell’eurozona? “Impossibile” dicono con la disinvoltura dei tecnocrati che discutono del futuro economico senza mai essere in campo. Questi fornitori di lezioni sono chiaramente in errore. Sì, dobbiamo essere onesti: anche se non lo vogliamo, un’esplosione dell’eurozona è possibile. Data la portata della crisi attuale e lo slittamento finanziario e monetario, la probabilità di questo triste scenario aumenta di giorno in giorno. Continua a cercare di convincere le persone che il contrario è l’opposto. Inoltre, la nuova incombente crisi politica, finanziaria ed economica non sarà una tragedia facilmente superabile. No. Questa crisi porta con sé le deficienze strutturali dell’Eurozona, che, pur considerata un’oasi di stabilità, è infine coinvolta nel rallentamento della crescita, nonché nella fragilità economica, politica, sociale e societaria.

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Infatti, come le bolle che hanno continuato a gonfiarsi sui mercati finanziari dal 2015, anche l’eurozona è diventata una “bolla”, cioè un divario tra le sue promesse e le sue realizzazioni, costituendo una “macchina della crisi”. Questa inefficienza nell’Eurozona ci ricorda un problema fondamentale: su basi traballanti, l’Unione Monetaria Europea non è mai stata completa. Quest’ultima, infatti, sarà credibile solo quando diventerà un’“area monetaria ideale”, cioè completamente unificata sotto tutti i punti di vista.

La tragedia è che i popoli e i leader della zona euro, negli ultimi anni, sono diventati ancora più riluttanti all’idea di un’unione federale. Il più pericoloso: l’eurofobia si è diffusa come un virus e ha raggiunto sempre più paesi e cittadini. Il motivo di questo rifiuto alla fine è abbastanza semplice: per decenni i leader dei paesi europei, spesso per mancanza di coraggio, hanno continuato a proclamare che se si doveva fare uno sforzo, era a causa dell’Europa. Tuttavia, se dobbiamo ripulire la spesa pubblica e renderla più produttiva per la crescita, non sarà per l’Europa ma per i nostri figli. La logica conseguenza di questo errore strategico e storico: la costruzione europea è diventata il capro espiatorio perfetto e ha stigmatizzato ogni risentimento, persino l’odio.

In altre parole, l’Europa non solo è diventata la terra attesa della crescita e dell’occupazione, ma, inoltre, nell’inconscio collettivo, è ora vista come la madre di tutte le inerzie e inefficienze del bilancio… e dell’economia. Quindi dobbiamo essere chiari: a meno che non si manifesti la coscienza di un miracolo, soprattutto in Italia, Francia e Germania, per impegnare l’eurozona nell’armonizzazione delle condizioni fiscali e regolamentari, con un bilancio federale efficace ma anche con meno rigidità strutturali, come quella europea Unione monetaria. So che oggi non ci sarà più entro il 2025.

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Forse questo non significa la fine dell’euro, ma l’emergere di un’area monetaria più restrittiva, con vera integrazione, vera federazione, regole ferree e mutuo aiuto garantito. Era proprio questo l’obiettivo del Trattato di Maastricht del 1992. Peccato che i leader europei lo capiscano solo oggi, a quasi 30 anni di distanza…

Marc Touati, Economista, Primo Ministro ACDEFI

Il suo nuovo libro RESET – Quale nuovo mondo per domani? 1° posto negli articoli economici dalla sua uscita il 2 settembre 2020

Mark Touati

Trovate tutti i suoi video sul suo sito Canale Youtube. Più di recente, “La caduta dell’euro: perché? Fino a che punto? Quali sono le conseguenze?”